Avete mai pensato alle parole solidarietà e competizione messe una accanto all’altra? Provateci, le avete affiancate? In termini di solidarietà o di competizione?
Vedete allora quanto possono essere vicini.
Sembra un equilibrio impossibile, ma non lo è.
La storia del termine COMPETERE è estremamente affascinante, a mio modo di vedere. Ha due significati completamente diversi, il primo (convergere, tendere insieme a qualcosa, a un obiettivo, concordare) si avvicina tantissimo al concetto di SOLIDARIETA’, e il secondo, invece, se ne allontana decisamente (concorrere, cercare di arrivare al posto di un altro o prima di un altro, gareggiare).
Il termine solidarietà non ha bisogno di essere spiegato.
Voi credete che l’azienda quando ci assegna degli obiettivi da raggiungere, ci chiede di essere competitivi nel senso di tendere insieme verso un obiettivo oppure di dimostrare chi tra di noi è più bravo/a? Io credo nel primo senso. In fin dei conti i sistemi incentivanti sono costruiti su obiettivi di squadra e comuni tra colleghe e colleghi.
Quindi escludiamo senz’altro la competizione in senso di gara. Il lavoro non è una gara. Le classifiche comparative d’altronde non sono ammesse, perché producono una competizione “non sana”. Anche fornire indicazioni commerciali con eccessiva frequenza e inutili ripetizioni porta ad una competizione “non sana”. Ve lo ricordate no? Ne abbiamo parlato nel nostro primo bollettino.
Riavviciniamo la competizione alla solidarietà. Una competizione sana (non servirebbe dire sana se la riportiamo al suo positivo significato originario), quindi un lavoro comune per obiettivi chiari e condivisi, porta senz’altro ad un ambiente di lavoro sereno e a grandi risultati.
Vi lasciamo alla lettura di uno stralcio di articolo scritto dal sociologo Francesco Alberoni per il Corriere della Sera del 2011, dal titolo “Competizione e solidarietà. Il difficile equilibrio”
FISAC\CGIL Unicredit