Nei giorni scorsi il Direttivo della Fisac/CGIL del gruppo UniCredito ha esaminato l’attività sindacale degli ultimi mesi, la situazione del gruppo, le sue possibili evoluzioni e gli impegni che ci attendono nell’immediato futuro.
La crisi nata dai mercati finanziari l’anno scorso, si è ormai trasmessa all’intera economia trasformandosi in una pesantissima recessione. La crisi sta creando in occidente nel 2009 61milioni di nuovi disoccupati e 90 milioni di nuovi poveri nel mondo.
Anche in Italia la crisi picchia duro su imprese, lavoratori e lavoratrici dipendenti. L’Italia non cresce da quindici anni e quest’anno il PIL calerà di circa il 5% e il prossimo anno le prospettive sono di una incerta lieve ripresa. L’ottimismo che diffonde tutti i giorni il Governo serve solo a mascherare la sua inerzia. In Italia si sono persi nell’ultimo anno oltre 600.000 posti di lavoro, centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze hanno perso il loro lavoro di precari, non hanno nessuna prospettiva e sono andati ad ingrossare il numero dei disoccupati o sono tornati a completo carico di genitori e nonni.
La cassa integrazione è quintuplicata e oltre 500.000 operai e impiegati in cassa vivono con 700/800 euro al mese che, peraltro, perderanno se non verrà rifinanziata dal Governo nelle prossime settimane.
Questo è lo scenario in cui siamo, a cui fa da contraltare, a differenza di altri Paesi, l’assoluta assenza del Governo. Le imprese e i loro dipendenti sono lasciati soli: nessuna politica industriale, nessun sgravio fiscale per il mondo del lavoro dipendente e dei pensionati al fine di rilanciare i consumi e l’economia: solo demagogia, populismo, annunci non seguiti dai fatti, qualche sgravio fiscale per le imprese e amnistie per gli evasori fiscali. L’Italia, pur avendo notevoli risorse e un apparato industriale di tutto rispetto è un Paese alla deriva, preda di una crisi sociale, economica, morale e di valori senza precedenti.
Anche le banche italiane sono colpite nella loro attività commerciale dalla crisi economica che si è aggiunta alla caduta di fiducia da parte di risparmiatori e imprese determinata dalla politiche commerciali di ricerca del massimo utile nel più breve tempo possibile praticate negli anni scorsi: politiche che sono state denunciate più volte da lavoratori e lavoratrici del settore e dal loro sindacato. Se fossimo stati ascoltati la crisi oggi sarebbe meno grave e oggi le banche avrebbero un patrimonio di credibilità da spendere nella gestione della crisi.
La crisi deve essere quindi l’occasione per cambiare in modo radicale queste politiche e trovando un nuovo equilibrio tra redditività e funzione sociale dell’attività creditizia, sapendo, come dice Banca d’Italia, che il periodo di crescita del settore, durato decenni, si è definitivamente interrotto.
Le banche italiane si sono salvate dai “titoli tossici” ma oggi sono colpite dalla crisi nella loro attività tradizionali: scende il margine d’interesse per la flessione dei tassi, scende il margine d’intermediazione per la riduzione delle commissioni, aumentano in modo esponenziale gli accantonamenti e le svalutazioni dei crediti per fronteggiare la crisi delle imprese e dei cittadini in difficoltà a restituire i prestiti accesi negli anni scorsi. Anche su questo fronte le banche hanno ricercato risultati di breve periodo a scapito della qualità dei crediti dei processi creditizi, e dei controlli.
Il risultato è che gli utili del 2008 si sono dimezzati rispetto a quelli del 2007, quelli del 2009 si dimezzeranno rispetto a quelli del 2008 e le prospettive per il 2010 non sono certo positive. Molte banche non chiuderanno i bilanci del 2009 in perdita solo grazie alla crescita delle attività finanziarie e di trading che stanno beneficiando del basso livello dei tassi e della risalita dei corsi di borsa. Il che fa temere che si stiano mettendo le premesse per un’altra “bolla” finanziaria mentre le attività commerciali tradizionali sovente sono in perdita.
La crisi e la caduta degli utili sta portando tutte le banche a politiche di forte riduzione dei costi a partire da quello del personale. Migliaia di lavoratori, specialmente delle piccole banche e della banche straniere, hanno perso drammaticamente,in questi mesi, il loro posto di lavoro, mentre altre migliaia di ragazzi e di ragazze con contratti a tempo sono stati lasciati a casa dalle banche. L’Abi ha posto all’attenzione delle Segreterie Nazionali sia la revisione del fondo di solidarietà – che viene ritenuto ormai troppo oneroso per la perdita dei preesistenti benefici fiscali a cui si sono aggiunti i contributi pagati dalle banche per la cassa integrazione senza, peraltro, che la stessa possa essere utilizzata dalle medesime – sia l’utilizzo dei contratti complementari (che prevedono per i neo assunti riduzioni di salario e normative su orari e inquadramenti meno favorevoli) in nuove attività e nei territori del Sud del Paese meno avvantaggiati dal punto di vista economico.
Una pretesa inaccettabile che è già stata respinta dalla Fisac e dagli altri sindacati. L’Abi ha ritirato la proposta sui contratti complementari mentre la trattativa sulla revisione del Fondo di solidarietà è in corso e si svilupperà nelle prossime settimane.
Anche le attività italiane di UniCredito sono particolarmente colpite dalla crisi. Gli utili prima delle imposte delle attività italiane in questi primi nove mesi del 2009 sono caduti di oltre il 70%, le attività italiane contribuivano nel 2008 per il 54% dei risultati complessivi del gruppo nel 2009 questa percentuale è caduta al 23%. UniCredito è più colpita di altre banche italiane soprattutto per le politiche molto “aggressive” nell’attività corporate degli anni scorsi, a cui si è aggiunto un portafoglio crediti, proveniente da Capitalia, come noto, di grande problematicità.
Il risultato di tutto ciò è che oggi UniCredito ha una percentuale di crediti deteriorati e in sofferenza decisamente più alta della media del sistema, ha un costo del rischio più alto della media ed è costretta ad accantonare e a svalutare i crediti molto di più rispetto agli altri concorrenti. I risultati della banca oggi arrivano grazie alla sua diversificazione sia internazionale che nelle attività. Se UniCredito fosse una banca solo italiana oggi avrebbe seri problemi.
Tuttavia il gruppo nel suo complesso è solido, sta aumentando il capitale, e ha le risorse per superare questo momento. Molto importanti sono stati da questo punto di vista i due aumenti di capitale. Ed è molto importante che la ricapitalizzazione del gruppo si sia realizzata con il sostegno dei suoi azionisti e senza ricorrere ad aiuti di stato temporanei e assai costosi e/o a cessioni di attività come sta avvenendo per altre aziende.
UniCredito dovrà cambiare a partire dalle sue politiche commerciali. Meno attenzione a volumi e redditività a breve e più attenzione al cliente e ai territori, più attenzione alla qualità dei rischi, dei processi e dei controlli. L’attività della banca necessita di più regole sia esterne che interne, un cambio della cultura del management a tutti i livelli e una politica di incentivi assolutamente diversa e coerente a queste politiche. Positiva la rinuncia ai bonus fatta dal management ma questo non basta se non si torna a tutti i livelli ad una maggiore responsabilità e severità. Il sistema degli incentivi, insieme alle pressioni commerciali, sono largamente corresponsabili degli errori commessi negli anni scorsi. Il salario incentivante si deve ridurre a vantaggio del salario stabile e contrattato ed essere collegato ai nuovi obiettivi di qualità che devono essere perseguiti. Il cambio del modello di servizio e della cultura del management, annunciato in questi giorni dal gruppo, se perseguito con coerenza, è in linea con quanto da tempo sostenuto dalle OO.SS.
La revisione del modello di servizio della banca si accompagna con il progetto, ancora in fase di studio da parte degli azionisti, di semplificazione/riduzione del numero delle banche commerciali in Italia. L’azienda sostiene che tale progetto non è finalizzato alla riduzione dei costi (che, a detta del gruppo, deve essere perseguita a prescindere) ma a servire meglio il cliente. Noi non sappiamo se sarà effettivamente così. Oggi noi siamo portati invece a pensare che il progetto abbia tra le sue motivazione anche la riduzioni dei costi.. Quello che è certo è che il progetto S3 era nato in una fase completamente diversa (di crescita) del mercato e rispondeva anche alle necessità politiche (confermate poi dalle modalità di fusione con Capitalia) poste dalle fondazioni, principali azioniste del gruppo. Ora la fase è completamente diversa.
La crescita del settore si è interrotta, si devono correggere impostazioni sbagliate del passato e i modelli organizzativi devono essere rivisti e semplificati.
Non vorremmo che a pagare siano i soliti: i lavoratori e le lavoratrici del gruppo. I numeri degli esuberi improvvidamente usciti sulla stampa sono stati smentiti dalla banca. In ogni caso se ci trovassimo di fronte quei numeri non ci sarebbe spazio di trattativa alcuna. L’azienda sta ancora completando il piano di uscite concordato con l’accordo sindacale di fusione con Capitalia (7.500 uscite nel periodo 2007/2010) e più di tremila dipendenti usciranno tra il primo gennaio e il primo luglio del prossimo anno con il rischio, se non verranno messi in opera gli interventi definiti con gli accordi più recenti (assunzioni dei precari del gruppo e trasferimenti volontari verso la rete), di veder peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro in particolare nelle reti commerciali del gruppo.
I lavoratori e le lavoratrici del gruppo in questi anni hanno subito profondi cambiamenti organizzativi e delle loro condizioni di lavoro e professionali. Il gruppo è stato riorganizzato e migliaia di dipendenti hanno cambiato società e lavoro. Tutto ciò è stato gestito con innumerevoli accordi sindacali (l’ultimo, in ordine di tempo, è quello relativo alla riorganizzazione della Banca Corporate) che hanno salvaguardato i dipendenti, la loro occupazione sul territorio, i loro trattamenti economici normativi, esteso e rafforzato le tutele occupazionali. Tutto ciò potrà essere in futuro oggetto di richieste di ulteriore miglioramento. In ogni caso il risultato del lavoro sindacale di questi anni è stato che i lavoratori e le lavoratrici non hanno rifiutato il cambiamento.
Tuttavia è evidente che la condizione di lavoro in generale ha subito un peggioramento in UniCredito come in tutto il settore, molti sacrifici sono stati fatti, sovente nelle realtà locali gli accordi vengono disattesi aggravando con ciò la situazione e, evidentemente, un punto di saturazione è stato raggiunto.
Salvaguarderemo l’occupazione e il suo radicamento sul territorio e daremo risposte ai precari del gruppo indipendentemente dal modello organizzativo che l’azienda si vorrà dare, ma anche l’iniziativa locale a tutela delle condizioni di lavoro dovrà rafforzarsi.
Il lavoro sindacale nei prossimi mesi sarà impegnativo e dovrà essere rafforzato il sistema delle relazioni sindacali e industriali a tutti i livelli, a partire da quello locale, anche migliorando l’informazione e la consultazione secondo quanto previsto dalle normative comunitarie e l’accordo CAE. Una apposita trattativa con il gruppo è aperta su questo argomento.
Gli accordi che vengono sottoscritti devono essere esigibili e i responsabili locali dell’azienda devono essere responsabilizzati in questo senso: non possono, non debbono esserci spazi per ambiguità, opportunismi e meschini calcoli. Impegneremo il gruppo in tal senso ma anche su questo tema l’iniziativa locale del sindacato dovrà essere rafforzata.
Approfondiremo la situazione finanziaria del gruppo e i contenuti delle riorganizzazioni annunciate e seguiremo tutti i passaggi con grande attenzione e impegno anche con nostre specifiche proposte. Gli incontri a livello di gruppo sono già iniziati e proseguiranno anche con un incontro dei Segretari Generali con l’Amministratore Delegato Profumo nel mese di dicembre. Non saranno accettati fatti compiuti, decisioni in spregio degli interessi che rappresentiamo.
Mentre seguiremo la riorganizzazione del gruppo dovremo anche capire come il gruppo intende affrontare la situazione che si determinerà nelle agenzie a gennaio con l’uscita di 1500 dipendenti. Non crediamo che chiudere le agenzie per motivi di servizio sia un buon viatico per politiche tese a servire meglio il cliente. Occorrerà in primo luogo procedere alle assunzioni che abbiamo concordato, stabilizzando i rapporti di lavoro di centinaia di ragazzi e ragazze che in questi mesi hanno lavorato per il gruppo con contratti a tempo; inoltre dovranno essere accolte tutte le richieste di trasferimento verso la rete che ancora ci sono e non sono poche.
In questi mesi anche altri argomenti dovranno essere affrontati come il rafforzamento della previdenza integrativa del gruppo dando una positiva conclusione alle trattative che sono in corso riguardanti i Fondi ex Cariverona, ex Banca dell’Umbria e ex Cassa di Risparmio di Roma, la chiusura dei lavori delle commissioni inquadramenti di gruppo costituite dopo la fusione con Capitalia e anche le tematiche relative alla Responsabilità Sociale che sono di notevole importanza in questa fase di trasformazione del settore e del gruppo. Infine, ma non per importanza, vogliamo unitariamente affrontare, pur in una situazione difficile come l’attuale, la tematica del rafforzamento del Welfare di gruppo (previdenza, sanità, polizze, mutui, ecc). Non vogliamo saltare il turno della contrattazione aziendale. I trattamenti economici di chi è destinato a rimanere nel gruppo ancora per tanti anni possono e devono essere integrati, migliorati e unificati. Arriviamo da una rilevante fusione ed è importante che ciò avvenga rafforzando l’unità tra i dipendenti del gruppo
Anche nella nuova fase che si apre gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici dovranno essere ascoltati e recepiti.
Milano, novembre 2009