Ad un certo punto del suo cammino alla nostra banca deve essere sorto un dubbio:
Stiamo facendo abbastanza per i nostri uomini?
Gli addetti agli sportelli sono amorevolmente seguiti tutti i giorni, i loro risultati vengono monitorati al minuto, ma all’orizzonte del profitto si affaccia qualche nuvola. Di coloro che lavorano nelle direzioni, poi, non si conosce fino in fondo l’attaccamento all’Impresa. In ogni caso, se esiste la possibilità di ottenere ancora di più, perché non provare qualcosa di nuovo?
E così una mattina, entrando in ufficio (perlomeno in Direzione Generale), i nostri colleghi si sono trovati degli enormi
“FORSE”
appiccicati all’ascensore, e a fianco un’altra scritta del tipo:
“questa è la porta per arrivare all’obiettivo”.
Più tardi, andando a fare la loro brava pipì, hanno trovato dentro i bagni (non dentro i water, appena sopra) i “FORSE” con su una grossa croce, come a dire che per noi di Unicredit il “forse” e il dubbio non esistono.
In assenza di spiegazioni aziendali tiriamo a indovinare: si tratta di quelle “scritte motivazionali” che vanno tanto forte negli Stati Uniti, ed evidentemente funzionano.
Se funzionano là funzioneranno anche qua, avranno pensato gli ideatori – lautamente retribuiti, immaginiamo – della bella trovata.
Di fronte a cose come queste si può ridere o prenderle sul serio. Proviamo la seconda.
Senza voler scomodare Orwell troviamo in queste iniziative le seguenti caratteristiche:
a)identificano i lavoratori non come soggetti ma come oggetti, il cui compito è recepire il messaggio e produrre il risultato atteso;
b)prospettano un mondo in cui il dubbio, l’approssimazione, il risultato parziale sono una degradante sconfitta: conta solo il successo, il raggiungimento dell’obiettivo;
c)il risultato che vale davvero, cioè in definitiva lo scopo della nostra vita, non è da qualche parte nella nostra testa o nel nostro cuore, e nemmeno in un libro o in un sogno, ma è nell’Impresa.
Più banalmente, si tratta di un “aiutino” per far sì che i pensieri dei colleghi siano allineati a quelli della banca.
Chissà quanto hanno studiato i signori che hanno avuto l’originale pensata. Siamo pronti a scommettere che di fronte alla critica risponderanno piccati che
intendevano porre in modo scherzoso e leggero l’attenzione sul successo aziendale che è anche nostro ecc.,
siamo vecchi e fuori del tempo,
non capiamo l’approccio “amichevole” della banca per e fra i colleghi.
A questo proposito vi è un’ulteriore novità, la radio aziendale (questa per tutti gli uffici, basta avere un PC…) che ci accoglie al lavoro ogni mattina, con tanto di “mix di successi del momento e classici intramontabili”.
Ci dovrebbero invece spiegare perché l’azienda non si accontenta dell’impegno intenso, qualificato e costante che mettiamo nel lavoro che facciamo, cercando anche di farlo bene, liberamente e in cambio di una retribuzione che ne rappresenta bene o male il valore.
Ci dovrebbero invece dire se nel nostro futuro dobbiamo intravedere una progressiva “giapponesizzazione” del clima aziendale: a quando l’inno di UniCredit da cantare Tutti Insieme, al mattino prima del lavoro, con la mano sul cuore??
Non c’è proprio nulla da ridere: queste iniziative esercitano una violenza – piccola o grande, dipende dalle nostre sensibilità – sulle nostre persone.
Perché noi siamo donne e uomini liberi.
Siamo nati per la libertà e per la realizzazione delle nostre intime, profonde, personali, modeste aspirazioni che non staranno mai – altrimenti saremmo dei poveri reclusi – costrette dentro un’impresa, che è il nostro datore di lavoro e non il nostro padrone.
Non c’è nulla da ridere.
C’è anzi da esprimere la nostra sommessa ma decisa obiezione di coscienza a queste novità.
C’è da dire il nostro
“Non ci sto!”
E c’è da chiedere garbatamente alla nostra azienda – se ancora ha un po’ di scienza e di coscienza – di darci un taglio.
Bologna, 16 giugno 2008
La Segreteria di Coordinamento
Fisac Cgil