Come le diverse autorità che, al possibile approssimarsi di eventi ritenuti particolarmente pericolosi, alzano la soglia di allarme e rafforzano le strutture di difesa, così noi siamo costretti ad innalzare al rosso la soglia di allarme per i lavoratori di UPA.
Lo facciamo a seguito di un incontro avuto in Direzione il 2.07 e nel corso del quale ci è stato illustrato ciò che l’Amministratore Delegato della Società ha affermato nella video conferenza del venerdì precedente.
Due i temi trattati.
Sul primo (il merger con Capitalia) non sono emerse novità di rilievo: è stato ribadito che entro il 1 ottobre verrà sancita la unificazione delle due Holding. Per quanto riguarda più specificamente UPA, nel giro di qualche giorno alcuni lavoratori di Capitalia Informatica cominceranno a recarsi sui nostri Poli per iniziare ad affrontare la complessa tematica della integrazione, i cui tempi non sono stati però specificati. Nulla è stato detto neppure sul futuro del Polo di Cologno e sui possibili esuberi.
Molto più ricco ed inquietante il secondo tema trattato: quello che noi continuiamo a definire delocalizzazione e l’Azienda si ostina a chiamare internazionalizzazione o, da qualche giorno, off-shoring.
Qui le novità sono tre.
Primo: si sta studiando un processo di concentrazione in unica società (cards factory) di tutta l’attività delle carte bancarie, a partire dall’attività svolta in Italia, Polonia e Turchia: circa il 70% della operatività dell’intero Unicredit Group in questo settore. Si seguirebbe la best practice che, in questo campo, appartiene prevalentemente alla Turchia.
Secondo l’Azienda non esisterebbero particolari motivi di preoccupazione: l’operazione non avrebbe nulla a che fare con la precedente vicenda di 2S in quanto, in quel caso, si trattava di vendere ad un Gruppo esterno un’attività (quella delle securities) per vari motivi ritenuta non più strategica, mentre, nel caso delle carte, si tratterebbe di concentrare in unica società, interna al Gruppo, un’attività (quella delle carte, appunto) ritenuta non solo strategica, ma anche in netta espansione.
Noi la pensiamo in modo del tutto diverso. Le preoccupazioni ci sono e sono tante. Desta allarme non tanto l’idea che i nostri lavoratori debbano affrontare l’ennesima riconversione (ne abbiamo ormai viste di tutti i colori), ma il fatto che, questa volta, ci sia un’insidia in più: la cessione del rapporto di lavoro ad una nuova Società con baricentro (solo industriale?) in Turchia. Stando così le cose, potrebbe non essere una passeggiata garantire le indispensabili tutele occupazionali.
Lavoratori e Sindacato esigono un aggiornamento in tempo reale dello stato di avanzamento dei lavori e non staranno con le mani in mano ad aspettare che gli eventi precipitino, al riparo da occhi indiscreti, controlli e verifiche.
Secondo: è stata ufficializzata, oltre all’ampliamento dell’attuale Sede di Bucarest, la nascita del secondo polo rumeno, a Iasi, città al confine con la Moldova. Non ci piacciono le forme della comunicazione: la ufficializzazione è avvenuta in video conferenza, fuori da ogni sede istituzionale deputata a comunicazioni di questo genere.
Ma non ci piacciono nemmeno i contenuti: di Iasi non sentiva davvero nessuno la mancanza.
Sono anni che UPA Italia alimenta, fino a dissanguarsi, il lavoro del polo di Bucarest. Cominciare ora ad alimentare anche Iasi vuol dire unire al danno anche la beffa. Per non parlare della prospettiva ravvicinata di uno intreccio ( in che forme? a che prezzi?) con Capitalia.
In realtà Iasi potrebbe essere alimentata anche da HVB e Ba.Ca. Magra consolazione. Il modello di UPA Italia si sarebbe così davvero imposto a livello europeo, ma non nei suoi aspetti alti (la riunificazione della filiera del back office in una unica società dedicata, caratterizzata da alti livelli professionali), ma nei suoi aspetti deteriori: la delocalizzazione verso Paesi a bassi salari e a basse tutele sociali.
Dopo gli Italiani, cominciano a delocalizzare anche Tedeschi ed Austriaci.
Terzo: è allo studio un progetto il cui probabile esito è il trasferimento di tutto il Trade Finance in Romania. L’operazione è complessa perchè il trade finance rappresenta una realtà estremamente articolata, solo una parte della quale viene eseguita in UPA. Ma, al di là della complessità della operazione, resta, per UPA, la prospettiva dell’ennesimo boccone amaro: professionalità e lavoro (un bel lavoro, oltre tutto, “ricco” da tanti punti di vista) se ne vanno e a noi rimane in mano un pugno di mosche.
Lo ripetiamo: l’allarme è rosso e non abbiamo intenzione di stare alla finestra a guardare.