Per qualche strano motivo, mai esplicitato anche se non così misterioso, ad UPA molte cose finiscono col trasformarsi nel loro contrario: le possibilità in obbligo e le proposte in chiamata alle armi.
Così è finito che il corso di Inglese è stato sostanzialmente imposto anche a chi, per raggiunti limiti di età o perché aveva ben altro per la testa, chiedeva solo di essere lasciato in pace (please, leave me in peace!); la compilazione del questionario “ascoltare per crescere insieme” è stata sollecitata fino all’inverosimile, con possibili inquinamenti sull’attendibilità di risposte maturate in un clima di esasperazione; perfino l’illustrazione delle attività di volontariato si sta traducendo in una specie di appello stressante di mobilitazione alla guerra santa (guerra santa che ci sarebbe piaciuto vedere combattuta anche a favore di tanti nostri giovani colleghi lasciati a casa).
Per non parlare dei vari meetings e delle attività collaterali per le quali chi non ha potuto/voluto/saputo sottrarsi ai pressanti appelli all’atto di presenza ha finito col trovarsi nella situazione imbarazzante del turpe monatto.
Intendiamoci bene: il Sindacato condivide in larghissima misura lo spirito di quelle iniziative.
Per quanto riguarda il corso di Inglese, ne abbiamo apprezzato l’intento ed abbiamo raggiunto un accordo – decisamente buono – che accoglie alcuni nostri suggerimenti. Così come, nel questionario, abbiamo individuato quantomeno una possibilità, senz’altro da sfruttare, di avanzare proposte e di denunciare anche stati di malessere. Il volontariato, infine, fa parte del nostro DNA, senza che se ne senta il bisogno di oltrepassare i limiti della francescana riservatezza.
Il punto non è dunque questo, non sta nella qualità né nella bontà delle iniziative proposte.
Il punto sta in quest’ansia continua di mobilitazione generale su tutto e per tutto, in questa permanente invasione nella sfera individuale, nell’appello assillante alla presenza a tutti i costi, nell’ossessivo spirito di crociata che sembra essersi imposto ovunque. Imposto, tra l’altro, in una
Azienda “tirata a lucido” solo per visitatori importanti che potrebbero essere turbati dal penoso spettacolo di operai che trascinano i carrelli.
Per favore: basta.
Nessuno di noi può essere trattato come un ragazzetto con l’acne juvenilis e, come persone di media intelligenza, capiamo quasi tutto tra la prima e la seconda volta che le cose ci vengono dette, senza dovere ricorrere alla terza, alla quarta, alla quinta, alla sesta e alla settima.
Si dia la possibilità di aderire alle iniziative (o, eventualmente, di rifiutarle) in virtù di scelte maturate in autonoma coscienza e personale convincimento. Non si forzi nessuno a fare ciò che non vuole fare e che non ha nessun obbligo a fare.
Chi, con queste iniziative, ha in mente di “fare squadra”, di creare cioè identità attorno a valori condivisi, dovrebbe ricordarsi che, nelle squadre stressate, qualche volta ci si confonde sulla porta verso la quale indirizzare il pallone. Si chiamano autogol.