Un Paese in declino
Il nostro Paese vive da qualche anno in una situazione di stagnazione economica. Nel 2003 il P.I.L. ha registrato un misero +0,4% ed è opinione condivisa che anche per l’anno in corso gli incrementi di ricchezza complessiva si attesteranno sui medesimi livelli. Nelle rilevazioni trimestrali degli ultimi due anni la Produzione Industriale ha più volte segnato indici negativi. E’ vero che ad una fase economica di questo segno sono interessati in particolar modo i Paesi dell’area dell’euro, ma è pur vero che l’Italia in questo contesto è in posizione ancora più sfavorevole. Siamo purtroppo in presenza di un declino industriale per vasti settori della produzione. La quota mercato italiana nel contesto internazionale è passata dal 4,7% del ’95 al 3,7% del 2003.
Vogliamo qui ricordare che la CGIL per prima ha dato l’allarme e per questo è stata accusata di catastrofismo e allarmismo senza fondamento. Purtroppo l’allarme era più che giustificato e i fatti ci hanno dato ragione. Emerge ora la strutturale debolezza del nostro sistema industriale in difficoltà ad inserirsi in un contesto di globalizzazione: da una parte il caso del tessile che subisce la concorrenza dei paesi emergenti e dall’altra la meccanica, settore ad alto investimento tecnologico e quindi esposto sui mercati più evoluti, sono esempi di un processo di indebolimento della capacità competitiva e dunque della produzione nazionale.
Contestualmente l’inflazione continua ad essere alta e aumenta il divario tra l’inflazione italiana al 2,7% e quella della media europea, dell’1,6%, con una perdita significativa del potere d’acquisto, delle pensioni e delle retribuzioni che ha portato ad un progressivo impoverimento anche delle classi medie della società.
Da parte del Governo in carica abbiamo invece assistito in questi anni alla costruzione di scenari che, alla prova dei fatti, si sono rivelati del tutto immaginari. I vari DPEF, i documenti ufficiali sui quali l’Esecutivo anno per anno costruisce programmi economico-finanziari, hanno contenuti di un ottimismo rivelatosi illusorio. Le pesanti polemiche nella valutazione del tasso di inflazione tra Eurispes, istituto di studi economici privato, e Istat, istituto di Statistica pubblico, accusato quest’ultimo di “accomodare” i dati in relazione a contingenze politiche piuttosto che operare un’analisi realistica dei fatti, sono solo una delle tante prove dei tentativi governativi di falsare la realtà.
Il Governo si è impegnato invece, e molto, nella destrutturazione del mercato del lavoro. A conti fatti, in nome di una flessibilità tutta teorica, si sono rese possibili 45 forme di contratti di lavoro dipendente. Gli ultimi posti in essere, quelli previsti dalla Legge Delega 30/2003, hanno in comune il fatto che il lavoro dipendente assume una forma subordinata/subalterna rispetto all’impresa. Oltre alla violazione di diritti fondamentali, come le tutele in caso di malattia, una giusta remunerazione e orari che non snaturino la vita privata, in queste forme di lavoro vi è contenuta l’affermazione di una condizione di precariato continuo. Si è voluto fornire al sistema delle imprese, alla Confindustria, l’opportunità di costruirsi le condizioni di competitività non sulla capacità di fare impresa, di innovare i prodotti, di investire nella ricerca e nella formazione ma semplicemente indebolendo le tutele salariali e normative del lavoro dipendente. Si è scelto così una “via bassa dello sviluppo”.
Negli anni novanta, grazie alle politiche concertative, si sono creati margini di possibile profitto per le imprese le quali però, anziché restituire gli utili al ciclo produttivo, hanno preferito effettuare investimenti di carattere finanziario-speculativo, cullandosi nell’illusione di poter fare profitti senza innovare. Poi, quando si è visto che una simile politica non aveva prospettive di successo, si è preferito tentare di salvaguardare la competitività attaccando il costo del lavoro e i diritti delle persone, attaccando il sindacato, la CGIL in particolare, promuovendone le divisioni.
Ma il declino del Paese non è solo economico.
La società italiana è pervasa da una profonda incertezza sul suo futuro, sulla possibilità di poter conservare il benessere raggiunto. Diminuisce la fiducia nella politica e nelle istituzioni, oggetto, tutti i giorni, di irresponsabili attacchi da parte della maggioranza governativa: è una società che ha perso coesione e che oggi non ha obbiettivi condivisi su cui mobilitare le sue energie e le sue forze vitali. In questa situazione declina anche il senso etico e di responsabilità che deve presiedere l’attività economica del Paese, come dimostrano i casi Cirio e Parmalat, e aumenta, con l’avallo delle politiche governative, un modo di gestire le relazioni economiche basato su una ricerca sfrenata del proprio tornaconto senza curarsi delle conseguenze sulla società; si diffondono così evasione fiscale e criminalità economica. Le responsabilità di Confindustria e del Governo in questo caso sono legate ad una scelta di breve periodo laddove servirebbero politiche e interventi strutturali. Insomma non c’è un’idea per il futuro, si affidano le condizioni di competitività al disconoscimento di diritti elementari delle persone.
E’ questo per la CGIL il dato più inquietante di questi anni. La battaglia per i diritti è stata fatta e la proseguiremo contro l’attacco alla condizione del lavoro dipendente. In tutte le società la produzione di valore, il lavoro, è il perno attorno al quale si stabiliscono i legami della vita associativa: la sua considerazione, la sua tutela e la sua valorizzazione sono i migliori indicatori del grado di civiltà che quella società esprime. E’ nostra convinzione quindi che una società che riesce a dare valore al lavoro, a garantirne e rispettarne i diritti sia una società che ha in sé un grado alto di democrazia e possa così assicurare una coesistenza pacifica e solidaristica. La CGIL non può che continuare a contrastare le forme involutive delle relazioni di lavoro. In questo senso riteniamo che le norme pattizie, siano esse di categoria o aziendali, devono continuare ad avere le caratteristiche di ampliamento e miglioramento delle condizioni di lavoro. Preoccupa e va contrastato il disegno di scavalcare la contrattazione tra le parti con interventi diretti del legislatore, come è accaduto, ad esempio, per il part-time o le assunzioni a tempo determinato.
Il sistema bancario
Il sistema bancario italiano negli anni scorsi si è ristrutturato ed ha raggiunto un elevato livello di concentrazione (i primi cinque gruppi coprono il 51% del mercato) con indubbi vantaggi in termini di economie di scala nella produzione e distribuzione dei servizi, di contenimento dei costi, di diversificazione dei rischi. Tuttavia rimane un sistema autoreferenziale che continua a muoversi con logiche del passato e con poche novità positive. Sono mancati piani industriali realmente innovativi che perseguissero, non solo la riduzione dei costi, ma anche l’espansione dei ricavi ed il sostegno alla crescita dimensionale delle imprese; mentre le ristrutturazioni, pur in un quadro di salvaguardia dell’occupazione, hanno comportato ricadute pesantissime sul modo di lavorare e sulle condizioni di lavoro, peggiorandole.
I grandi Gruppi hanno una dimensione non ottimale tenendo conto, in particolare, del contesto europeo e della sempre maggiore integrazione dei sistemi finanziari. E’ possibile che si realizzi una nuova fase d’aggregazione tra grandi gruppi italiani anche per sostenere l’attuale livello di redditività attraverso economie di scala e riduzione dei costi. Questo processo, che andrà governato dal Sindacato salvaguardando in primo luogo l’occupazione del settore, potrebbe riguardare anche il Gruppo UniCredito Italiano.
ABI appare, in questa fase, incapace di assumere una linea autonoma e condivisa. Lo dimostrano sia le diverse soluzioni con cui le banche hanno affrontato il tema degli scandali finanziari sia, sul fronte contrattuale, l’assunzione di comportamenti contradditori. Da una parte essa, infatti, sottoscrive il Patto per l’Italia e dichiarazioni d’intenti comuni con la Confindustria, dall’altro si pronuncia, nel settore, per politiche concertative, socialmente ed eticamente sostenibili e compatibili. Il rinnovo del CCNL farà chiarezza sulle reali intenzioni. Le aspettative dei lavoratori e delle lavoratrici nei confronti del rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale sono elevate in termini di recupero salariale, di miglioramento delle normative e delle condizioni di lavoro e di rafforzamento del ruolo del sindacato
Il sistema bancario negli anni scorsi ha subito una necessaria e profonda ristrutturazione che lo ha rafforzato, grazie al ruolo del sindacato e agli accordi raggiunti a livello nazionale, di gruppo e aziendali, senza grandi costi sociali.
Occorre però chiederci e fare una verifica sui reali benefici che tale ristrutturazione ha avuto per il Paese.
Certamente è stata evitata la possibile colonizzazione del sistema italiano da parte delle banche estere, molte banche sono state risanate e aggregate a grandi gruppi bancari senza perdite per la clientela, è stata salvaguardata complessivamente l’occupazione del settore e le banche hanno continuato a finanziare le imprese del Paese evitando anche clamorosi fallimenti (Fiat in testa).
Tuttavia la ricerca spasmodica di una redditività di breve periodo spesso è avvenuta a spese della clientela retail e del piccolo risparmiatore in particolare: prodotti venduti senza tener conto dei profili di rischio dei clienti, ma solo delle laute commissioni da intascare; spese eccessive in presenza non solo di rendimenti ben lontani da quanto prospettato ma di consistenti perdite in conto capitale; atteggiamenti ai limiti della truffa (My Way, ecc.) testimoniano come la perdita di eticità negli affari economici ha riguardato anche il sistema bancario. Il Gruppo UniCredito non è stato esente da tutto ciò anche se, allo stato, appare coinvolto meno di altri negli scandali degli ultimi mesi.
Questi comportamenti, da tempo denunciati con forza dal sindacato senza purtroppo trovare l’ascolto necessario, hanno danneggiato i risparmiatori, le capacità di reddito e di consumo e, di conseguenza, anche l’economia del Paese. Ma il danno maggiore è stato fatto al sistema creditizio stesso provocando una pericolosissima crisi di fiducia nel sistema da parte dei risparmiatori.
Da questi comportamenti sono nati anche scomposti e ingiustificati attacchi al sistema bancario e alle autorità di controllo, Banca d’Italia in primis. Noi non siamo per fare di ogni erba un fascio e se errori e responsabilità ci sono state queste vanno individuate e punite.
Se i poteri di controllo vanno rafforzati e migliorati, l’autonomia delle Authority va assolutamente salvaguardata e non asservita, come si è cercato di fare, al Governo. Occorre però dire che l’autorevolezza della Banca d’Italia è stata indebolita da una gestione che in questi anni è apparsa eccessivamente politicizzata.
Quella che va recuperata è invece l’etica e la responsabilità negli affari economici come detto in precedenza e queste sia all’interno delle imprese, sia nelle banche.
Ciò va fatto rafforzando i poteri di controllo degli azionisti di minoranza, di collegi sindacali indipendenti e delle organizzazioni dei lavoratori, ma anche inasprendo le pene per i falsi in bilancio. Tutto ciò sarà vano se non si afferma, in particolare nel management delle imprese e delle banche, una cultura della responsabilità sociale che batta la cultura del “mordi e fuggi”, dell’arricchirsi a spese degli altri, dei manager strapagati, del profitto ad ogni costo. Una cultura che in questi anni ha trovato alimento e sostegno nelle stesse forze di Governo del Paese.
La responsabilità sociale si esercita anche nei confronti delle imprese sostenendone lo sviluppo. In questi anni il credito bancario non è mancato, ma i recenti casi Cirio e Parmalat hanno dimostrato che si è dato credito anche a chi non lo meritava e invece di sostenere progetti di sviluppo si è finito col finanziare la rapina delle risorse delle imprese da parte di proprietari e manager, speculazioni e avventure finanziarie, distrazioni di fondi verso i paradisi fiscali.
I danni prodotti da questi comportamenti all’economia e al prestigio del Paese sono ingenti e il rischio è che si determini una situazione di mancanza di fiducia dei risparmiatori verso le banche e contemporaneamente una caduta della fiducia di quest’ultime verso le imprese e i loro bilanci. Un cortocircuito estremamente pericoloso per lo sviluppo delle imprese che si vedrebbero ridotte le possibilità di finanziamento da parte delle banche dopo la chiusura, di fatto, della possibilità di finanziarsi sul mercato attraverso i titoli obbligazionari.
Per le banche la responsabilità sociale deve significare, visto che la merce “lavorata” è il denaro degli altri, sostegno all’economia e alle imprese sane del Paese e rispetto dei risparmiatori, delle loro esigenze e delle loro aspettative. La redditività delle banche si deve quindi realizzare attraverso il sostegno al risparmio, allo sviluppo del Paese e dei tessuti produttivi locali: quello che un tempo era definito ruolo sociale delle banche.
Il Gruppo
La Responsabilità Sociale in UniCredito Italiano
Le politiche annunciate dal vertice di UniCredito Italiano prevedono una crescita del Gruppo nelle basi di clientela, nel finanziamento e nei servizi alle imprese, nella valorizzazione del risparmio e contestualmente una crescita della qualità sia esterna, nei confronti della clientela, sia interna nei rapporti di lavoro, nei processi organizzativi, nelle procedure, negli strumenti messi a disposizione dei dipendenti, in un quadro di salvaguardia della redditività. Ma dall’annuncio ai fatti concreti lo scarto sovente è molto grande e questo alimenta l’impressione che per il Gruppo la responsabilità sociale sia principalmente un fatto d’immagine, spendibile anche a fini commerciali.
La FISAC/CGIL è convinta dell’importanza che il Gruppo continui a crescere e per questo occorre che anche la redditività del Gruppo sia salvaguardata. Dal reddito dell’impresa dipendono l’occupazione, la crescita salariale dei lavoratori e delle lavoratrici e questo non va mai dimenticato. Ma, per l’appunto, la redditività deve essere ricercata accompagnando la crescita economica del Paese e lo sviluppo del risparmio dei cittadini. La redditività va perseguita con politiche di lungo periodo e non è detto che tutti gli anni il ROE, già molto elevato, debba per forza crescere.
La responsabilità sociale deve essere esercitata anche nei confronti dei dipendenti promuovendo trasparenza, codici etici, pari opportunità, valorizzazione della professionalità e del merito e senza nessuna marginalizzazione, bensì con un recupero professionale, nella difesa delle condizioni personali, anche dei lavoratori che sono giudicati poco interessanti o “obsoleti”.
Va anche promossa una maggiore equità mentre oggi la forbice salariale sta aumentando attraverso incentivi, ad personam, ecc. a favore dello strato medio-alto dell’azienda. Occorre un cambio d’orientamento. Nelle aziende in forte sviluppo si tende a premiare i settori “strategici”, che “tirano” lo sviluppo e per fare questo si tende a sottovalutare gli altri dipendenti e le altre parti dell’azienda, dimenticandosi che queste assicurano l’indispensabile quotidianità delle attività. Certe differenze nei trattamenti economici, oltre a non essere eticamente corrette, non sono giustificate dall’importanza dei ruoli, dalle diverse responsabilità e professionalità e sono un incentivo a comportamenti scorretti sia nei confronti della clientela che dei dipendenti. Occorre quindi perseguire una maggiore equità in termini di incremento dell’occupazione, distribuzione del reddito, condizioni di lavoro. Oltretutto, come ormai ampiamente dimostrato, le disuguaglianze nella società sono un freno allo stesso sviluppo dell’economia.
La FISAC/CGIL del Gruppo è quindi particolarmente interessata a costruire un ruolo del sindacato su queste materie che promuova equità, un corretto rapporto tra ricerca del profitto, etica della vendita, qualità del servizio e delle prestazioni lavorative, la definizione di codici etici, la diffusione, anche attraverso la formazione i sistemi valutativi e incentivanti, di buone pratiche e di comportamenti coerenti in tutte le realtà del Gruppo rispetto alle politiche annunciate di responsabilità sociale.
Il Gruppo UniCredito Italiano
Oggi UniCredito Italiano è tra i più solidi e redditizi gruppi bancari in Italia ed in Europa. E’ un patrimonio importante del sistema economico del Paese che va valorizzato ed ulteriormente rafforzato. E’ una tra le più grandi imprese del paese (oltre 40.000 addetti in Italia, circa 70.000 il totale), che ha salvaguardato e accresciuto negli anni l’occupazione e che ha ulteriori progetti di crescita occupazionale, a differenza di altri grandi gruppi bancari. Le buone basi di partenza che si erano realizzate nelle ex banche sono diventate quindi fattore importante di nuovo sviluppo. Tutto ciò non è merito solo degli azionisti e del management ma anche dei lavoratori e delle lavoratrici del Gruppo e del loro Sindacato che ha difeso l’occupazione e ha fatto in modo che i diversi progetti di ristrutturazione si realizzassero in un quadro di salvaguardia e sviluppo dei livelli occupazionali nei diversi territori in cui il Gruppo è presente.
Il Gruppo UniCredito non è in ogni caso esente dai limiti del sistema e delle grandi banche e non manca di punti di debolezza quali le dimensioni non ancora adeguate, una copertura del territorio nazionale non omogenea e con una scarsa presenza nelle regioni del Sud del Paese
Il Gruppo ha in ogni caso dei punti di forza notevoli e in particolare un azionariato stabile che ne sostiene lo sviluppo, un management di qualità che pensa al futuro ed un personale con elevata preparazione professionale, un’alta qualità del portafoglio crediti ed infine una diversificazione del business (con una forte presenza nell’East Europe) che mantiene alta la redditività del Gruppo e la mette al riparo, più che in altri gruppi bancari, dal diverso andamento dei cicli economici.
Fare un bilancio di S3, allo stato, è prematuro, ma le preoccupazioni del sindacato non sono state tutte fugate e in ogni caso oggi sono ancora evidenti le difficoltà a far percepire al mercato la qualità ed il valore delle banche specializzate e su questo punto occorre anche dire che aggregazioni con altri Gruppi bancari, realizzate magari in tempi brevi, rischierebbero di compromettere i progetti di stabilizzazione e crescita delle nuove banche.
L’assetto delle varie società appare oggi pressoché completato. Gli interventi ancora in corso appaiono come razionalizzazioni d’attività a seguito di S3. Continueremo a seguirle come sindacato, sempre che si tratti d’interventi coerenti con un modello organizzativo di tipo specialistico. Qualora assumessero valenze di altro tipo la posizione del sindacato in materia sarebbe ovviamente diversa rispetto a quella tenuta in questi anni.
I risultati economici del Gruppo dopo S3
Il risultati complessivi del Gruppo nel 2003 sono certamente positivi. In una fase di mercato non facile, di ristagno dell’economia, di caduta della fiducia dei risparmiatori a seguito dei noti scandali, il Gruppo realizza un aumento dell’8,9% dell’utile netto, un Roe in ulteriore crescita al 17,7, un aumento del margine d’intermediazione, del risultato di gestione e dei crediti alla clientela e della raccolta diretta e indiretta. I risultati suddetti si sono realizzati contestualmente ad un aumento dei costi sia del personale (+2,9%), sia operativi (+1,6%) e in un quadro di salvaguardia dell’occupazione (- 72 dipendenti sui 70.851 del Gruppo nel suo complesso, + 1.000 in Italia).
Si tratta quindi di dati positivi che testimoniano la redditività, solidità, e potenzialità del Gruppo e, particolare importante per il sindacato, risultati che si determinano, caso raro oggi tra i grandi gruppi bancari, in un contesto di salvaguardia dell’occupazione e anche di aumento dei costi del personale.
Una più attenta analisi dei dati evidenzia comunque alcuni problemi e criticità che non vanno sottovalutate.
In primo luogo l’aumento della redditività si concentra quasi esclusivamente nell’attività Corporate e nella Nuova Europa.
La divisione Corporate realizza una forte crescita del risultato di gestione (+16,9%) e le attività Corporate, con 6.150 dipendenti, realizzano un utile netto di 868 milioni di Euro pari 44% dell’utile complessivo mentre la Divisione Retail, con 25.877, dipendenti realizza 698 milioni di utile pari al 35% dell’utile complessivo. La Divisione Retail, come pure la Divisione Private e Asset Management, vedono altresì una contenuta flessione del Risultato di Gestione. Si tratta di dati che evidenziano dove si concentrano, allo stato, la redditività e i costi del Gruppo. Il cost/income del Retail è pari, infatti, al 65% mentre quello della Divisione Corporate è pari la 30%.
Sono dati che dovranno farci riflettere anche sui meccanismi del nuovo Premio Aziendale.
Coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici nella cultura e nelle politiche aziendali in UniCredito Italiano
Uno degli aspetti che caratterizza maggiormente questo gruppo e, dentro di esso, ciascun’azienda è il tentativo di affermare una chiara e netta identità aziendale con l’obiettivo di costruire un unico sistema di valori condivisi. Ciò è da ricondurre al fatto che il Gruppo è il risultato dell’aggregazione, in breve tempo, di realtà aziendali molto diverse tra loro per cultura e tradizione (Banche nazionali e locali molto radicate, Banche ordinarie e Casse di Risparmio). In parte la scelta è coerente con la tensione verso la Responsabilità Sociale dell’Impresa; in parte perché c’è la precisa volontà di creare un rapporto forte d’identificazione tra singolo/a lavoratore/trice e azienda d’appartenenza, attraverso la creazione di legami molto stretti.
Tale legame permea l’intera politica di gestione del personale: dagli incentivi, alla formazione, alle convention, alle riunioni periodiche a tutti i livelli. Uno degli strumenti maggiormente utilizzati, anche a questo fine, è il portale aziendale “UCI for people”, nel quale ciascun collega può trovare ogni genere d’informazioni che interessino il proprio rapporto di lavoro. Un salto di qualità è rappresentato anche dal tentativo di coinvolgere i/le lavoratori/trici nella loro dimensione privata dal volontariato, alla raccolta di fondi da destinare ad attività socialmente rilevanti, attraverso la fondazione Unidea.
Questo coinvolgimento non è necessariamente giocato in contrapposizione con il sindacato, ma oggettivamente rischia di sottrarre consenso allo stesso. Il Sindacato rischia la marginalizzazione, rischia di essere chiamato in causa solo quando entra in corto circuito il rapporto diretto azienda/lavoratore, rischia di vedere indebolito il proprio sistema di valori e d’appartenenza, rischia la perdita della propria autonomia di elaborazione e di proposta, rischia la subalternità. Gli altri rischi reali sono quelli di relazioni sindacali formalmente rispettose dei dettami del Contratto Nazionale, ma estranee e non incidenti sulla condizione lavorativa da un lato, oppure di un sindacato relegato ad un ruolo d’opposizione aprioristica fine a se stessa e sempre più minoritaria e marginale rispetto ai problemi veri, dall’altro. Scenari, questi, tutti da respingere.
L’attivismo aziendale rappresenta una sfida per il Sindacato, il quale può competere alla pari con la stessa, può affermare il proprio sistema di valori, può giocare tutte le sue carte nella valorizzazione del lavoro, ma molto dipende dalla sua capacità di stare all’altezza dei problemi, di dotarsi di una sua autonoma capacità d’analisi dei processi in atto, di proposta, d’iniziativa, di lotta, di assumersi le responsabilità, di mantenere il suo rapporto con i lavoratori/trici comprendendone e assumendone le specificità e l’articolazione anche professionale.
Aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito
Nel Gruppo si stanno affermando trattamenti economici anche molto differenziati in relazione all’azienda di appartenenza e, all’interno di questi, tra coloro che occupano posizioni ritenute importanti al raggiungimento degli obiettivi e tutti gli altri. Ciò attraverso l’adozione di sistemi incentivanti, distorti ed esasperati, e la corresponsione di riconoscimenti ad personam, non contemplati a livello contrattuale, che rendono problematico il controllo del salario reale. Il rischio è la divisione dei lavoratori/trici tra una fascia considerata importante e strategica, anche numericamente rilevante – ed in alcune aziende maggioritaria – da valorizzare e premiare e tutti gli altri legati ai trattamenti economici tabellari minimi. Si svuota così, di fatto, il valore dei Contratti Nazionale ed Aziendale, ridotti ad un ruolo residuale.
E’ necessario riprendere il controllo sindacale del salario di fatto, anche alla luce di alcune richieste caratterizzanti la piattaforma CCNL, attraverso meccanismi che innalzino gli inquadramenti professionali; favorendo le promozioni e la valorizzazione delle professionalità interne in luogo di assunzioni dall’esterno di personale pagato di più dei lavoratori già presenti in Azienda che fanno lo stesso lavoro; realizzando sistemi incentivanti chiari e trasparenti con cifre equilibrate. Tutto ciò allo scopo di limitare l’uso di ad personam che, per loro natura, concentrano in sé il massimo della discrezionalità ed il minimo della trasparenza.
Regole, Diritti e Prassi
Un Gruppo delle dimensioni di UniCredito Italiano e con grandi aziende con decine di migliaia di addetti provenienti da culture gestionali diverse non si governa senza la definizione di regole chiare e trasparenti che, per quanto riguarda il personale, devono essere concordate con il sindacato al fine di renderle accettate e condivise.
Il Gruppo e le aziende che lo compongono applicano, oltre agli accordi definiti negli anni scorsi, le regole e le prassi in essere nell’ex Credito Italiano, dove tradizionalmente la normativa aziendale rimaneva nell’ambito delle norme di rinvio previste dal CCNL. Questo era arricchito da prassi concordate con il sindacato e fortemente gestite a livello locale. Regole e prassi applicate, generalmente, con correttezza dall’azienda. Nella nuova realtà del Gruppo, e in particolare in UniCredit Banca, quest’ultimo elemento è andato ad indebolirsi danneggiando la credibilità delle aziende nelle relazioni con i dipendenti e il sindacato.
Tali regole e prassi vanno riadattate e verificate in una realtà diversa anche per non essere vissute come una forzatura dalle complesse strutture aziendali in particolare nelle banche più grandi: motivo questo di continui tentativi di negarle e aggirarle a livello locale.
La definizione di nuove regole in una realtà complessa come UniCredito Italiano non è comunque sufficiente. Particolare rilevanza ha la gestione quotidiana delle diverse problematiche. Se si vogliono tutelare effettivamente i colleghi e le colleghe la gestione deve essere accompagnata da un controllo forte a livello locale per rendere le regole esigibili e correttamente interpretate nelle diverse realtà aziendali e territoriali. Anche per questo motivo vanno rafforzate le relazioni sindacali a livello locale.
Il rapporto con i lavoratori e le lavoratrici
In questi anni il rapporto tra Organizzazioni Sindacali e lavoratori e lavoratrici ha vissuto momenti critici e di sofferenza. Questo vale in generale per il mondo del lavoro, ma vale anche per il Gruppo UniCredito.
Le ristrutturazioni di questi anni si sono concluse con accordi positivi e di valore. Non possiamo, però, dimenticare che non solo le piattaforme, ma sovente anche gli stessi accordi non sono stati discussi in maniera generalizzata con le persone interessate.
Le assemblee non sono mancate, ma non siamo riusciti ad effettuare piani di assemblee organici e generalizzati. Certo hanno pesato la complessità delle ristrutturazioni e delle trattative che affrontavano situazioni anche molto diverse tra di loro e la necessità di arrivare ad accordi in tempi relativamente brevi in funzione della durata delle procedure; hanno pesato altresì i rapporti unitari difficili. Sono giustificazioni che però non assolvono le carenze del sindacato. Non è solo una questione sacrosanta di democrazia, e sappiamo quanto essenziale per noi della CGIL, ma in questo modo non abbiamo valorizzato il lavoro fatto dal sindacato e non abbiamo confrontato con i lavoratori la complessità dei problemi che andavamo ad affrontare. Ne avrebbero giovato l’autorevolezza e la forza del sindacato di fronte alla controparte e gli stessi rapporti unitari.
Ribadiamo che, per noi della CGIL, il rapporto democratico con i lavoratori e le lavoratrici e la validazione degli accordi attraverso il loro consenso è imprescindibile e lavoreremo affinché questa consapevolezza diventi sempre di più un fatto unitario. Ma il rapporto con i nostri colleghi e le nostre colleghe non si tiene solo nelle assemblee in occasione degli accordi. Un tessuto di rapporti democratici veri si costruisce anche con l’informazione diffusa, le riunioni con gruppi di colleghi esperti di una determinata tematica al fine di costruire la posizione del sindacato, le assemblee di ufficio e sportello per costruire una vertenza di filiale, la ripresa della buona abitudine di assemblee periodiche con gli iscritti e le iscritte e così via. Il rapporto con i lavoratori e le lavoratrici non è un dato scontato: va costruito tutti i giorni ed è un rapporto da cui il sindacato trae idee, forza, legittimazione.
Normative di Gruppo
In un Gruppo riorganizzato su basi specialistiche, composto da diverse aziende e con una forte mobilità interaziendale c’è la necessità di estendere/unificare e migliorare in una regolamentazione di Gruppo (testo unico) una serie di tutele in buona parte già presenti in alcune aziende del Gruppo e normate in diversi accordi come le garanzie occupazionali in presenza di riorganizzazioni sia di aziende che nei territori e la regolamentazione della mobilità territoriale, professionale e interaziendale.
Dobbiamo altresì realizzare una strumentazione di Gruppo anche sui temi della sanità e della previdenza, presupposto questo fondamentale per avanzare richieste d’innalzamento dei contributi aziendali a favore, in particolare, delle giovani generazioni.
Va realizzata nel corso del 2004 la Cassa Mutua di Gruppo che tenga conto di alcune specificità e delle esperienze più avanzate per migliorare i trattamenti, anche con un aumento del contributo aziendale, in un campo dove l’intervento pubblico appare sempre più inadeguato; va anche realizzata una Previdenza di Gruppo che, salvaguardando i Fondi a prestazione definita, valorizzi al meglio i contributi dell’azienda e dei lavoratori per i fondi a contribuzione definita.
Miglioramenti possono e debbono essere richiesti anche in materia coperture assicurative, di provvidenze aziendali e di smobilizzo del TFR.
La politica salariale deve puntare a cogliere i rilevanti risultati delle aziende e del gruppo e ad apprezzare appieno il contributo dei lavoratori/trici di questi anni, i quali, spesso, hanno supplito in prima persona alle carenze organizzative.
L’identificazione dei parametri per la determinazione del premio aziendale merita un approfondimento, poiché la ricostruzione della catena del valore, anche dentro il nostro Gruppo, appare sempre più complessa. Le Banche reti sono divenute strumenti per vendere prodotti di bancassicurazione, come pure fondi comuni gestiti e pensati da società del gruppo che ne ricavano solo una commissione, mentre le società di servizio forniscono la loro attività alle diverse realtà del Gruppo a prezzi concordati.
L’unica certezza è che tutto confluisce nel bilancio consolidato della Capogruppo. E’ chiaro quindi che una parte del premio aziendale dovrà essere collegato ad indicatori e/o indici di misurazione legati ai risultati della Holding, oltre che delle singole aziende. Tale impostazione, recepita dalla piattaforma di rinnovo del Contratto Nazionale, avrebbe anche il pregio di costituire un collante solidaristico dentro il gruppo. Dovremo rivendicare la distribuzione ai lavoratori e alle lavoratrici dei miglioramenti di redditività e produttività realizzati dal Gruppo definendo una base comune di Gruppo e consentendo, nel contempo, la valorizzazione delle specificità aziendali.
Piani di azionariato diffuso volontario e buoni pasto rappresentano altrettante leve di politica salariale indiretta su cui agire, sentite dai lavoratori/trici.
Le altre materie di politica rivendicativa (inquadramenti, formazione, incentivi, ecc.) sono sviluppate nei capitoli delle singole aziende pur sapendo che, su tali argomenti, sarà indispensabile individuare momenti di coordinamento a livello di Gruppo recependo anche le novità che deriveranno dal Contratto Nazionale. In tal senso, le proposte rivendicative presenti nella piattaforma unitaria, una volta recepite, potranno rafforzare la contrattazione decentrata sia a livello di gruppo che di singola azienda e supportare positivamente il ruolo del sindacato aziendale nel miglioramento delle condizioni normative ed economiche dei colleghi e delle colleghe.
UniCredit Banca d’Impresa
La partenza
Per le lavoratrici e i lavoratori di UniCredit Banca d’Impresa l’impatto con la nuova realtà della banca è stato, agli inizi dello scorso anno, molto violento. Abbiamo vissuto una fase costitutiva caratterizzata da caos e disorganizzazione nella quale, ed è il caso di dirlo senza enfasi, la Banca si è retta sulla capacità, disponibilità e pazienza dei suoi dipendenti. Certo va dato atto che non è cosa semplice costruire ex novo una realtà aziendale di dimensione nazionale, ma il punto è che questa era stata pensata come struttura solo commerciale, sottostimata nel numero di addetti, impreparati nei riferimenti organizzativi e con una totale mancanza di back-office
Anche per il Sindacato l’inizio è stato drammatico per l’impossibilità, dovuta alla carenza aziendale, di allestire in maniera tempestiva, per quanto richiedeva la situazione, sia a livello delle filiali che a livello centrale, le sedi di confronto opportune a rappresentare l’incredibile quantità di problemi che si erano materializzati tutti insieme.
Tra questi, quelli di maggior peso e più urgenti che la FISAC/CGIL ha denunciato in questa prima fase sono risultati, a conti fatti, correttamente individuati: occupazione, organizzazione, mansioni, formazione.
Rispetto a queste questioni il Sindacato si è battuto, sia in sede centrale che in alcune vertenze di filiale, per portare la situazione ad un livello accettabile. Se questa ha assunto via via connotati meno drammatici e conseguentemente si sono potute apprezzare condizioni più normali, si deve anche al nostro contributo. E’ utile richiamare alcuni fatti.
” Il 2003 si chiude con un incremento occupazionale di 238 addetti (saldo fra 390 immissioni, di cui 252 giri da altre aziende del Gruppo e 138 assunzioni, e 152 cessazioni).
” Sono previste per il 2004, e in parte già effettuate, un consistente numero di assunzioni per incrementare l’area degli Assistenti Corporate di 60 unità, oltre alla copertura del turn-over di rete ed al potenziamento degli Specialisti Derivati.
” Sul piano organizzativo la costituzione dei PAF, nella primavera dello scorso anno, è una risposta, seppure insufficiente, alla carenza di back office, insufficienza questa da noi immediatamente denunciata all’azienda.
” Per quanto riguarda invece la Formazione, esaurita una prima fase nella quale si è svolta una “formazione di allineamento”, nel corso del mese di giugno è stata effettuata una rilevazione dei fabbisogni formativi del personale di rete come premessa ad un piano formativo biennale, iniziato a settembre 2003 e finanziato, grazie alla firma del Sindacato aziendale, dal fondo nazionale di settore, che interessa una potenziale platea di 1968 addetti delle filiali per un totale di 104.128 ore di formazione.
Cos’è UniCredit Banca d’Impresa per noi e cosa vogliamo che sia
UniCredit Banca d’Impresa è una banca originale, nel senso che è un esperimento atipico nel sistema finanziario italiano per la particolarità di essere dedicata unicamente al mondo dell’impresa. In questo senso è una scommessa importante e forse l’autentica novità nell’ambito dell’operazione S3. Per queste ragioni di specificità di sistema la FISAC/CGIL, sia aziendale che di categoria, deve seguire con molta attenzione l’evoluzione di questa azienda.
La Banca opera in un contesto di progressivo declino industriale del nostro Paese connesso ad una perdita di competitività di molti settori industriali con perdita di quote di mercato internazionale, diminuzione delle esportazioni e soprattutto calo occupazionale.
In questo quadro il Gruppo ha comunque assegnato alla nostra Banca progetti di crescita ambiziosi. La traiettoria espansiva è disegnata in modo che vi sia prima di tutto una crescita interna che sfrutti al meglio le capacità della struttura e il potenziale reddituale esistente. In questo percorso si punta prioritariamente a diventare banca di riferimento per gli attuali clienti aumentandone il grado di esclusività del rapporto. Vanno lette in questo senso alcune operazioni di riassetto organizzativo a contenuto commerciale come la costituzione dei Team di Sviluppo che hanno tra gli altri compiti quello di “risvegliare” i rapporti ritenuti di interesse commerciale. Altrettanto si può dire di alcune campagne incentivanti quali Export Manager, Incassi e Pagamenti che hanno il compito di offrire un servizio di qualità. Accanto a questo vi è ovviamente anche l’obbiettivo di una crescita esterna mediante incrementi di quote di mercato, anche se bisogna tener conto della grande difformità di presenza e radicamento della banca nelle diverse regioni (molto elevata nel Nord-Est, nelle Marche e Piemonte, buona al Centro-Sud, esigua nel resto d’Italia, compresa la Lombardia).
Questi gli obiettivi dichiarati dall’Azienda che puntano ad una crescita complessiva della banca in termini di volumi, di qualità del servizio, di dimensioni strutturali. Vedremo se e come questa prospettiva, che ovviamente ci auguriamo, si realizzerà.
Non c’è dubbio che per il Sindacato, qualsiasi sindacato, operare in un contesto di espansione è sicuramente più confortante. L’espansione produttiva offre possibilità maggiori di valorizzazione del lavoro e delle risorse da distribuire. Ma noi sappiamo che lo sviluppo non è mai neutro. La nostra idea di sviluppo si muove su due orientamenti: affermare pienamente il diritti connessi al mondo del lavoro e operare per lo sviluppo delle economie locali e nazionale. La combinazione e l’equilibrio di questi fattori non è cosa semplice, ma noi crediamo che questi siano i presupposti di un’azienda sana e in grado di stare sul mercato secondo logiche sociali oltre che di normale competizione. La FISAC/CGIL quindi intende operare all’interno di UniCredit Banca d’Impresa affinché la crescita che si individua sia accompagnata da un’adeguata struttura organizzativa, con il personale sufficiente e dalla valorizzazione e dal potenziamento di tutte le competenze professionali.
Un Sindacato come il nostro, la Cgil, ha anche il compito di guardare al di la del muro, di verificare il ruolo e gli effetti delle scelte aziendali sul tessuto delle economie locali e nazionale. Questo per due ragioni di merito:
” la prima, più ovvia, è che scelte sbagliate finiscono per produrre effetti che si ripercuotono sui lavoratori e sulle lavoratrici;
” la seconda ragione è che riteniamo possibile per la nostra azienda un ruolo di sostegno allo sviluppo.
UniCredit Banca d’Impresa, come naturale, è particolarmente interessata alle prospettive di riordino dettate da Basilea 2. La definizione dei nuovi requisiti patrimoniali imporrà specifici vincoli all’erogazione creditizia. In tal senso assume interesse e rilevanza l’iniziativa dei Bond di distretto partita nello scorso autunno in alcune province del Veneto ed attualmente in fase di duplicazione in Piemonte.
L’iniziativa si concretizza, in estrema sintesi, in un finanziamento a medio/lungo termine da parte della banca ad un numero consistente di piccole e medie imprese operanti in un territorio omogeneo ed associate ad un consorzio fidi; tale finanziamento, garantito dal consorzio stesso, viene cartolarizzato da una società veicolo alla quale è trasferito il portafoglio crediti, tramite l’emissione di specifiche obbligazioni (appunto, i bond di distretto).
L’Amministratore Delegato della Banca l’ha definita come una strumentazione finanziaria tra le più innovative nel panorama finanziario nazionale. La stampa nazionale e locale ha dato conto, da un lato, di adesioni positive o addirittura superiori alle attese da parte delle imprese dei territori interessati e, dall’altro, della forte richiesta delle obbligazioni sul mercato internazionale dei capitali, con oltre l’85% dei titoli collocati con rating AAA. La cartolarizzazione dei crediti può essere uno strumento che allarga la capacità di intervento della Banca e particolarmente utile al sostegno che questa può dare alle economie locali aiutando le PMI a superare i loro limiti dimensionali. Al momento l’operazione sta riguardando due zone dove forte era la presenza delle ex Casse di Risparmio ed è un modo per dimostrare a queste realtà locali che si vuole continuare a prestare attenzione al territorio. Se non si tratta solo di questo riteniamo che la stessa attenzione e le stesse opportunità debbano essere date a tutte le aree del Paese. In tale ambito si richiama la specificità del Sud, una delle grandi questioni nazionali, dove il sostegno alle imprese e alle attività produttive è da sempre un’emergenza.
E’ quindi logico e coerente che l’unica banca nazionale specializzata sulla media impresa faccia la sua parte e si impegni in maniera concreta nell’offrire opportunità di tutela e di sviluppo anche all’economia meridionale.
UniCredit Banca d’Impresa si propone al mondo imprenditoriale non solo offrendo un sostegno finanziario in senso stretto, ma anche tramite prodotti che aiutano l’impresa, per esempio, a contenere i costi, a incrociare domanda e offerta, a muoversi agevolmente sui mercati esteri, a coprirsi da alcuni rischi connaturati alla propria attività. Tali prodotti devono di per se stessi essere validi e insieme rivestire un carattere di eticità nel momento in cui sono proposti e poi sottoscritti dal cliente: un esempio su tutti è il contratto in derivati che non dovrebbe mai perdere la caratteristica di copertura del rischio di tasso/cambio per diventare uno strumento di speculazione.
A garanzia di questo semplice assunto sta, principalmente, la professionalità degli operatori e poi l’attenzione che il Sindacato vuole prestare al fenomeno delle pressioni e alla costruzione di un nuovo e diverso sistema premiante basato più su criteri qualitativi che meramente quantitativi.
Accompagnare lo sviluppo delle imprese non significa solo rendere disponibile una maggiore quantità di credito, ma anche garantire la qualità dei servizi e dei prodotti offerti. Sono necessarie alcune condizioni affinché questa affermazione, in sé condivisibile, non resti tale. Una valorizzazione secondo il principio di pari opportunità, reale, costante e continua di tutte le professionalità esistenti. Condizione primaria perché ciò avvenga è l’estensione in termini di quantità e qualità della formazione professionale, intesa come aggiornamento continuo del sapere e sostegno dei singoli ruoli svolti.
La FISAC/CGIL aziendale
La costruzione ex novo di UniCredit Banca d’Impresa ha significato per la FISAC/CGIL impegnarsi in una totale opera di reinsediamento della rappresentanza sindacale nella nuova realtà.
Si può essere sicuramente soddisfatti del lavoro fin qui svolto perché la nostra sigla si presenta al Congresso con un forte presenza in termini di iscritte/i, 680 adesioni pari ad oltre il 18% del totale degli addetti, 27 S.A.S. costituite, laddove possibile, su tutto il territorio nazionale.
Parliamo di Sas possibili perché i limiti numerici imposti dagli accordi per la costituzione di Rappresentanze Sindacali nelle filiali le rendono istituibili solo nelle unità produttive con oltre 15 addetti e questo, in una banca come la nostra con il 78% delle filiali con meno di 15 lavoratori, ha i suoi evidenti effetti. Su questo problema il Gruppo non ha voluto derogare dagli accordi nazionali e non ci ha permesso di allargare l’area di rappresentanza delle Sas oltre il comune. Noi invece riteniamo che tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori abbiano il diritto ad essere adeguatamente rappresentati e perciò continueremo a operare, impegnando l’azienda, per ottenere l’esercizio pieno di tale diritto.
Oggi abbiamo, dunque, una struttura sindacale FISAC molto rinnovata nei suoi rappresentanti con caratteristiche molto interessanti e peculiari. Spesso i/le Segretari/ R.s.a. che sono stati/e nominati/e sono alla loro prima esperienza sindacale, sono perfettamente inseriti/e nel processo produttivo, conoscono e sono aggiornati sulle procedure e sulle strategie che di volta in volta l’Azienda assume; ciò consente un utilissimo apporto della loro professionalità all’elaborazione sindacale e politica degli organismi dirigenti della FISAC aziendale. Questa struttura ha già avviato un processo di crescita collettivo con una specifica iniziativa formativa, nell’autunno scorso, che ha coinvolto il Direttivo e la Segreteria di Coordinamento, con l’obbiettivo finale di rafforzare l’appartenenza ad un gruppo di lavoro di giovane costituzione, la sua identità e consolidare le relazioni tra persone in modo da favorire, inoltre, l’integrazione fra esperienze lavorative e sindacali differenti. Dobbiamo continuare su questa strada costruendo momenti di elaborazione e sviluppo di capacità ed abilità, accanto agli appuntamenti di discussione sindacale.
La FISAC/CGIL basa la sua attività sindacale sulla più ampia articolazione nei luoghi di lavoro. Le Sas sono quindi titolari esclusive della gestione dei problemi loro affidati, del potere di intervento nell’organizzazione del lavoro delle Filiali di loro competenza. Questa rappresentanza deve essere praticata in maniera diretta nei confronti delle strutture aziendali, Responsabile di Filiale e Ror, delegate al rapporto con il Sindacato. In questo senso denunciamo un atteggiamento dilatorio da parte dei Ror sempre molto distanti, sia in termini spaziali che temporali, dai confronti richiesti e con una ridottissima disponibilità/capacità ad intervenire per la soluzione di problemi. Si fatica ad avere un rapporto che abbia un qualche carattere di continuità; riteniamo che le relazioni sindacali debbano fare sostanziali passi avanti uscendo da un logica di mero impegno formale o contrattuale. Permane, peraltro, un’impostazione sindacale ed uno stile dei rapporti poco omogeneo fra le varie Regioni Commerciali e la stessa Direzione Generale, sicché, spesso, pare di trovarsi proprio in 4/5 banche diverse.
Il confronto a livello centrale cha ha interessato la Segreteria dell’Organo di Coordinamento si è sviluppato essenzialmente sui rimandi della contrattazione nazionale, in particolare Mbo, Formazione e Procedura Quadri Direttivi. Su questi tematiche rimandiamo al giudizio contenuto nei comunicati di volta in volta emessi ed alla parte finale del documento che propone la nostra analisi e la nostra iniziativa per i futuro. Ancora troppo circoscritto riteniamo sia lo spazio dedicato a tematiche che riguardano lo specifico e le contingenze aziendali. E’ nostro compito impegnare la Direzione ad estendere il raggio d’azione del confronto: ad essa richiediamo un livello di qualità dell’elaborazione all’altezza dei problemi mentre, sia come FISAC che come Intersindacale, dobbiamo imporci un maggior respiro strategico.
Dello stato dei rapporti con le altre sigle che compongono la delegazione centrale confermiamo il nostro giudizio positivo e l’orientamento a proseguire sulla strada di una crescita e di un’unità condivisa. Quest’ultima è utile per tutta la categoria.
Gli impegni che ci attendono
Il lavoro che abbiamo fin qui svolto nel confronto con l’azienda e nel rapporto con la categoria è una base utile per individuare alcune prospettive di intervento sindacale che come FISAC/CGIL dobbiamo darci.
Occupazione
Nella Banca è ancora vivo un problema di ordine occupazionale. Il dato in crescita, rispetto all’avvio della banca, è una risposta positiva ma che non chiude la questione. A livello di carichi di lavoro vi sono ancora situazioni di grave disagio. In questa occasione ribadiamo la prospettiva, che abbiamo già avanzato, di tendere ad un rapporto di un assistente corporate per ogni gestore, con un riequilibrio anche del peso dei portafogli (cioè del rapporto medio di n.d.g. per risorsa).
Pensiamo, infatti, si debba mirare ad una scelta che contemperi qualità di prestazione a carichi di lavoro. Nel primo anno di vita, la Banca ha mostrato capacità espansiva, + 19% degli impieghi. A questa capacità corrisponde un utilizzo più intensivo della struttura, volendo usare un’immagine potremmo definirla una macchina che aumenta i giri, ed è nostro compito richiedere che la crescita complessiva sia accompagnata da aumenti d’occupazione. Terzo ed ultimo elemento siamo una banca con un’età media piuttosto alta e una ridotta presenza femminile (32%): il dato medio anagrafico si colloca sui 45 anni (ancora più elevata risulta l’età media nei Centri Estero), con quasi fl del Personale che ha superato i 50 anni. C’è quindi la necessità urgente di porre mano ad una pianificazione di nuovi ingressi che compensi le future uscite e permetta un ringiovanimento degli organici, tentando di intervenire sulle modalità di selezione in modo che siano davvero garantite Pari Opportunità e anche ponendo in essere politiche di promozione per il riequilibrio tra i generi.
Quadri direttivi
La nostra è una Banca a forte connotazione di quadri direttivi, al 31 ottobre costituivano il 51% della composizione del personale (cui va aggiunto un 4% di Dirigenti). In tema di specificità questo è sicuramente un dato significativo, difficilmente riscontrabile in banche di analoghe o maggiori dimensioni. La composizione ad alto livello di professionalità comporta per il sindacato il confronto con le tematiche tipiche di quest’area particolarmente critica tant’è che anche la Piattaforma di rinnovo del C.C.N.L. è un tentativo di superare le debolezze riscontrate con l’esperienza del contratto unico 11.7.99.
E’ in atto, da parte aziendale, un forte processo di individualizzazione del rapporto di lavoro che si traduce in prestazioni di lavoro pesantemente incentivate alle quali corrispondono degli orari di fatto molto al di là dei riferimenti previsti dal contratto. Sulla gestione e la remunerazione di questi la Direzione mantiene una sostanziale indisponibilità a definire criteri trasparenti e regole oggettive ed esigibili. Questo alto grado di disponibilità si pone talvolta in contrasto con la qualità della vita individuale a discapito delle esigenze personali, familiari o di relazione. Riteniamo che si debbano fare passi avanti in tal senso nella ricerca di un equilibrio tra vita e lavoro, considerando anche la crescente diffusione delle tecnologie mobili (cellulari, computer portatili) che prolungano ulteriormente i tempi di lavoro.
Aree Professionali
In una banca con una così alta percentuale di Quadri Direttivi il rischio è che la Direzione si “dimentichi” degli Impiegati. Per gli appartenenti alla 3° Area Professionale, che rappresentano il 45% della banca, riteniamo di dover perseguire un percorso di valorizzazione complessiva che si traduca sia in avanzamenti che in un accrescimento del livello di professionalità espressa. E’ da qui che dobbiamo partire con gli incrementi occupazionali, con la costruzione di percorsi professionali e di carriera per “creare in casa” le disponibilità dei livelli professionali che di volta in volta si rendano necessari. Al riguardo, non sarà più condivisibile l’emergenza che nel 2003 ha portato all’assunzione di quasi 50 gestori direttamente dall’esterno. Analogamente a ciò, la Direzione non può focalizzarsi solo sui ruoli di tipo commerciale, trascurando altre componenti della Banca (fra cui anche le posizioni lavorative della sede centrale). In tutti i casi vogliamo dire chiaro e forte che siamo contrari ad ogni ipotesi di banca a due velocità: il processo di valorizzazione del Personale deve concretizzarsi in tutta la filiera produttiva. Il caso dei Centri Estero, divisi anche fisicamente dalle filiali, può essere emblematico a questo proposito. Ogni ipotesi contraria a quella che qui enunciamo vedrà la ferma opposizione della FISAC/CGIL : attendiamo l’Azienda alla prova dei fatti da tradursi in investimenti reali di nuova occupazione, formazione costante e percorsi di carriera.
Ruoli professionali e inquadramenti
Uno dei problemi di maggior impegno per il sindacato sarà la ridefinizione di tutti i ruoli professionali presenti nella banca. Il percorso fin qui fatto con la Direzione (verbale d’accordo sugli inquadramenti CIA del 20.01.03 e procedura ex art.66 del 16.12.03) è incompleto, per effetto, è la tesi aziendale, di assestamenti non definitivi della struttura. Dai Centri Estero sino ai Settori della Direzione Generale, partendo dalla ricognizione delle mansioni e dei ruoli svolti, dovremo riuscire a pervenire ad una formalizzazione degli inquadramenti minimi da inserire nel futuro C.I.A., la cui fase si aprirà in seguito al rinnovo del CCNL. Come si può intuire è un lavoro enorme – che abbiamo anche cercato di anticipare con la richiesta di attivazione della norma aperta ex art.75 – sul quale ci riserviamo, nella sua costruzione, momenti di dialogo e contributi dagli Iscritti/Iscritte. In tale contesto dobbiamo riuscire a concretizzare con la Direzione criteri obiettivi di classificazione delle filiali, criteri di trasparenza nelle assegnazioni dei ruoli senior previsti per le diverse figure professionali e nelle modalità di assegnazione delle facoltà deliberative per i gestori. La FISAC-CGIL ritiene che quest’opera di valorizzazione complessiva dei ruoli debba essere svolta in un quadro di percorsi professionali che portino riconoscimenti formali e trasparenti.
Sistemi incentivanti
La definizione e la gestione del sistema premiante, per la FISAC/CGIL, è una questione che assume un aspetto centrale nella definizione dell’attività sindacale in un’azienda dove già esiste un fenomeno di giungla retributiva per una combinazione di situazioni preesistenti e di effetto della nuova gestione. L’MBO è un sistema sul quale continuiamo ad esprimere profonde e dettagliate critiche che si sono sempre tradotte in non condivisione nei confronti dell’azienda. Tale resta il nostro giudizio in presenza di alcuni elementi che qui ripetiamo.
La discrezionalità oltre all’esiguità dei premi di squadra, una qualità poco rispondente a criteri di scientificità e connessa più a criteri gestionali di per sé quindi discrezionali, un concetto di solidarietà nei sistemi individuali esattamente rovesciato rispetto ad una logica di interconnessione e creazione di legami ambientali, l’esclusione della sede centrale, destinataria ancora dei cosiddetti bonus, la riduzione del premio di squadra per le lavoratrici che abbiano usufruito del periodo obbligatorio di assenza per maternità nell’anno solare, questi appena citati sono tutti elementi di un percorso di rettifica che va intrapreso. Rispetto a ciò vogliamo chiaramente esprimere le nostre critiche alle problematiche di fondo che il sistema incentivante variabile contiene.
Siamo in presenza di una disponibilità finanziaria di grandi proporzioni che tutti gli anni viene ridistribuita senza nessun termine di confronto da parte dell’azienda: questo è un problema di giustizia ridistributiva.
Il sistema incentivante che dovrebbe premiare la redditività prodotta ha al suo interno fortissimi elementi di discriminazione: il premio più alto possibile è ben sessantadue volte maggiore di quello più basso.
E’ un sistema che ormai ha assunto dimensioni patologiche; quando il premio massimo previsto è pari alla retribuzione annua di un ex c.u. siamo certamente di fronte non ad un’aggiunta, come è nella logica di un incentivo, ma a qualcosa di completamente diverso. La spesa prevista per il pagamento dei premi, infatti, aumenta di anno in anno in maniera considerevole, non rispettando più percentuali accettabili rispetto al complessivo costo del lavoro e all’ammontare del premio di produttività rivolto a tutti/e, come ribadito da sempre dal Sindacato. Permane, inoltre, un’ambiguità da parte aziendale nel non voler chiarire se queste erogazioni sottraggano disponibilità al salario contrattato e al Premio Aziendale (Vap).
Siamo ben lontani da acquisire questi sistemi in una logica di piena trasparenza. Su fasi importanti del processo ci troviamo di fronte ad una gestione aziendale al di sotto dello spirito del contratto.
Non vogliamo banalizzare la questione ma riteniamo di dover continuare ad esprimere la nostra contrarietà sugli aspetti più distorsivi di un sistema che è cresciuto in maniera abnorme ed è diventato l’atto gestionale più significativo. Nonostante i risultati fin qui prodotti per l’Azienda noi pensiamo che il sistema vada globalmente ridimensionato. Pensiamo sia venuto il momento di riflettere, raffreddare il fenomeno per renderlo meno esasperato e più indirizzato verso un contesto di solidarietà e interconnessioni, insomma dovrebbe tendere a “fare squadra” nel senso pieno del termine.
Riteniamo, inoltre, che la valutazione professionale dei colleghi e delle colleghe non debba in alcun modo essere influenzata dal raggiungimento o meno degli obbiettivi previsti dal sistema incentivante .
Formazione e addestramento
In una banca ad alta specializzazione l’aggiornamento professionale e la formazione permanente sono fattori essenziali, rispetto ai quali non dovrebbero mancare le occasioni di confronto e dialogo fra le parti per affrontare il merito e la sostanza delle politiche formative, ben al di là delle procedure contrattuali. L’anno scorso, in preparazione del piano formativo biennale, finanziato utilizzando le risorse costituite presso il fondo di solidarietà di settore, avevamo concordato con l’azienda un’impostazione partecipativa che andasse oltre la semplice consultazione; il primo atto di tale percorso fu una rilevazione dei fabbisogni formativi della rete. A distanza di un anno restano ancora da verificare i bisogni formativi dei settori non ricompresi nell’indagine (ruoli di sede centrale, di regione commerciale e condirezione, addetti contabili di filiale). E’, inoltre, in ritardo la predisposizione dei corsi di addestramento per neo-assunti e l’ufficializzazione dei cataloghi per la formazione tecnico-professionale, quella manageriale e, soprattutto, quella generale-contrattuale, aperta alla libera iscrizione di tutto il Personale (ricordiamo al riguardo che, oltre alle previsioni 2003/2004 di cui al CCNL vi sono 859 Colleghi con crediti formativi relativi ad anni precedenti aventi diritto a recuperare quasi 38 mila ore). Su tutti questi aspetti, pur consapevoli dei ritardi e dell’impegno legato al piano biennale di riqualificazione del Personale della rete, riconfermiamo l’esigenza di mettere in cantiere soluzioni che garantiscano a tutti un’offerta formativa completa, adeguata e di qualità, imperniata sulla formazione d’aula; l’attività formativa a distanza e l’autoformazione, laddove inevitabili, devono essere effettuate dai lavoratori e dalle lavoratrici in opportune sedi dedicate; sarà obbligo per il sindacato monitorare tale fruizione alla luce della pregressa esperienza, spesso negativa. Solo in tal modo non vi saranno reali pericoli di assistere ad una formazione di serie A ad una di serie B.
In ogni caso, come sindacato dobbiamo approfondire di più tale materia prevedendo sedi di controllo e modalità di erogazione (specie per il lavoratore e le lavoratrici in part time) che rendano effettivamente esigibile questo diritto. Dobbiamo insistere con il confronto e fare in modo d’influenzare realmente le scelte della banca, anche cogliendo l’occasione della prospettiva di utilizzo dei Fondi interprofessionali per la formazione continua (For.te) e delle cosiddette certificazioni delle conoscenze.
Infine, è anche nostro compito di Organizzazione sindacale il presidio al rispetto delle regole del gioco che vogliamo concorrere a scrivere, nell’offrire pari opportunità e nel richiedere la necessaria trasparenza degli atti gestionali da parte dell’azienda.
Le sfide che ci attendono sono molteplici ed è difficile stilarne una graduatoria per importanza;ne scegliamo una, simbolicamente, a chiusura di questo documento:conciliare la richiesta di certezza, in senso lato, che proviene dai lavoratori e dalle lavoratrici con la flessibilità che l’Azienda, giorno per giorno, in maniera crescente, domanda loro.